PREMESSA

 

L'8 settembre e i nostri soldati

 

 

Nello stesso giorno in cui il re Vittorio Emanuele III e il generale Badoglio avevano dato ripetutamente assicurazioni a qualificatissimi rappresentanti della Germania riguardo alla fedeltà dell'Italia al Tripartito e alla sicura determinazione del governo italiano di continuare la guerra a fianco dei tedeschi, lo stesso generale Badoglio, verso le 17,30, diede alla radio con voce un po' incerta l'annuncio dell'armistizio.

Il nostro esercito in quel momento era dislocato su vari fronti e soltanto la parte peggio armata e meno sperimentata si trovava nel territorio nazionale.

La proclamazione dell'armistizio causò lo scompiglio generale per vari motivi, primo fra tutti  la mancanza di ordini e direttive chiare e tempestive ai comandi  militari periferici. Anzi, è comprovato che non esisteva un piano di difesa serio dalla prevedibile e prevista aggressione da parte dei tedeschi e di rimpatrio delle nostre armate allora impegnate nei Balcani, nell'Egeo, nella  Francia meridionale e altrove.  E' accertato anche che il re e i suoi ministri,  Badoglio e Ambrosio i primi, erano rassegnati, prima dell'8 settembre, a sacrificare agli alleati di  ieri  i nostri soldati  lontani, circa cinquecentomila — pensavano essi — appartenenti a trenta e più divisioni.

Nella stessa sera dell'8 settembre, appena 45 minuti dopo l'annuncio dell'armistizio, si mise in moto in Italia il meccanismo di reazione che i tedeschi avevano approntato già da tempo (Operazione Student, parola d'ordine: Rosenmontag) per far fronte alla defezione dell'Italia.

Sia per la mancanza di ordini, sia perché era predominante lo spirito di rinuncia a contrapporre una valida resistenza armata, sia e soprattutto per !a vergognosa fuga del re e dell'Alto Comando, quasi ovunque si verificò lo sfaldamento dell'esercito, che finì  in buona parte catturato dai tedeschi, almeno dove ciò era possibile.

Con l'esercito si sfasciò tutto lo Stato    "e che si sia trattato del del vecchio stato monarchico e fascista non può consolare né modificare  il giudizio storico”.

 

Abbandonarono la popolazione e i soldati tutte le autorità che li rappresentavano e avendo nelle mani il loro destino, gli italiani tutti vennero a trovare nella più grande sventura della loro storia recente totalmente e traditi.

I massimi esponenti  politici e militari consegnarono il popolo italiano ai tedeschi  privandolo della possibilità di difendersi e ciò determinò il destino di  milioni di  uomini.

La deportazione di seicentomila nostri soldati disarmati e fatti prigionieri e di alcune centinaia di migliaia di civili produsse  la guerra civile coi  lutti che ne derivarono; di fatto l’Italia in gran parte venne a trovarsi nella condizione di terra di conquistata.

 

Essendo quello delle alte autorità un sicuro tradimento per i tedeschi là dove i nostri soldati opposero resistenza alla loro aggressione e si batterono disperatamente ed eroicamente, essi furono considerati come franchi tiratori o partigiani. Questo non soltanto quando si trattava di focolai di resistenza circoscritti, che furono assai numerosi e, per la partecipazione spontanea e decisa dei civili, rappresentano il primo insorgere della Resistenza armata; ma anche quando si trattava di grosse unità dell’esercito che resisteva con le armi, per i tedeschi non faceva differenza.

Bisogna dire che, fino a quando il re e Badoglio si  rifiutarono di dichiarare guerra alla Germania (per motivi poco edificanti) una parte dei nostri soldati si è trovata a dover rivolgere le armi contro i tedeschi “alleati”, sia pure per difendersi.

Il 29 settembre 1943 sulla corazzata Nelson a Malta il generale Eisenhower chiedeva alla delegazione italiana presieduta da Badoglio e Ambrosio se il re  e i suoi ministri, i quali insistevano nella decisione di non impartire direttive precise per la resa senza resistenza ai tedeschi e di non dichiarare guerra alla Germania, si rendevano conto di cosa ciò significasse per gli italiani, e per i soldati particolarmente.

Rispose il generale Ambrosio, capo di  Stato maggiore del  re:  "Sono sicuro che  i tedeschi li considerano partigiani".  E alla domanda: "Quindi passibili di fucilazione? " Badoglio rispose "Senza dubbio".

Ulteriore e più grave responsabilità del re e del suo governo fu dunque di non  aver dichiarato subito guerra alla Germania, come esigevano gli alleati.

E ciò determinò le esecuzioni in   massa di  nostri soldati che valorosamente

resistettero all'ingiunzione di lasciarsi disarmare, come avvenne per la divisione "Acqui" a  Cefalonia e di altre unità altrove.

E’ istruttiva in questo la vicenda dei militari italiani dell’isola di Lero: i tedeschi sospesero le esecuzioni in massa soltanto perché sopraggiunse il 13 ottobre la  dichiarazione di guerra alla Germania e quindi gli italiani divennero prigionieri di guerra.

 

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