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Prefazione a "Il Ritorno 1945" di Silvio Villa
Quando lessi per la prima volta le bozze di questo libro,
vissi anch'io una sorta di ritorno, il ritorno alla mia infanzia, il
ritorno alla vita e ai ricordi di un bambino curioso ed attento a cosa si
dicevano i "grandi", per capire da dove arrivavamo, per imparare
a vivere e incominciai a ricordare immagini, odori, voci di un tempo, di
quasi 50 anni fa... ...nelle feste familiari, Natale, Capodanno, Compleanni e
Grandi occasioni, ci si trovava in tanti a casa nostra, nella cucina di
quella casa di ringhiera in Via Mazzini al 37, ora che ci penso non era
grande quella cucina-sala-soggiorno, ma ci trovavamo sempre in tanti,
almeno così è il mio ricordo di bambino di 8, 10, 12 anni, finivano gli
anni '50 ed iniziavano i '60, il boom
economico. Attorno al tavolone, usato dalla mamma nei giorni feriali
per "plissettare", per mettere in forma e stirare in stampi di
cartoncino le gonne a pieghe che tanto andavano di moda in quegli anni,
attività che permetteva di integrare il magro salario di mio padre
operaio metalmeccanico... Attorno al tavolone eravamo sempre in tanti, 10, 12 forse
15, papà, mamma, noi 2 e poi 3 bambini, il nonno Giuseppe, lo zio Vito,
gli zii di Milano, gli amici e i compagni socialisti, la nonna Emma. Nei pranzi di festa si mangiavano le lasagne o i ravioli, le cotolette o il pollo arrosto, le patatine |
- ah che croccanti e saporite quelle patatine arrostite in padella - la torta della nonna. Si
mangiava, si brindava col rosso cupo e dolciastro Barbacarlo,
bottiglione comperato al Circolo del Popolo, si festeggiava
il compleanno o la cresima di un bambino/a, ci si Gli altri uomini domandavano, aggiungevano, precisavano
episodi vissuti da loro, si era nel pieno di un racconto corale. Noi bambini - c'erano forse anche i miei cugini Bruno,
Sergio, Peppino, di sicuro mia sorella Nanda e poi la piccola Nori - si
smetteva di giocare e ascoltavamo, ascoltavamo, non tutto riuscivamo a
capire, sembrava una leggenda, un'epopea, una storia fantastica,
avventurosa anche se triste e dolorosa, l'avevamo già sentita tante
volte, ma non potevamo non ascoltare, era più forte di noi. Poi a sera, da solo nel mio letto, prima di addormentarmi,
ci pensavo ancora e mi domandavo sempre come era riuscito il mio papà a
sopportare tutta quella fatica, quella fame, quei bombardamenti, quelle
angherie dei tedeschi e tornare a casa "sano" e salvo; mi
addormentavo e sognavo, sognavo di incontrare dei tedeschi su una
spiaggia adriatica e di sputargli in faccia, per vendicare quello che
avevano fatto passare a mio padre. Poi passarono gli anni, elaborai meglio quei racconti,
studiai il periodo storico e lessi di altre storie simili o più
tragiche, film, libri, convegni, discussioni politiche, il rifiuto anzi
il ripudio della guerra, del militarismo, delle armi, divennero in me
coscienza e pensiero radicato, erano gli anni del Vietnam e degli Yankee
go home e purtroppo oggi, dopo 30 anni, si sono riproposti con la ex
Jugoslavia, l'Iraq, l'Afghanistan, il Libano, coinvolgendo direttamente
altri soldati italiani, ora le chiamano Missioni di Pace, con armi che
uccidono e distruggono le popolazioni di quei paesi e anche i nostri
giovani con le stellette, ah mala tempora. Ma l'atmosfera di quei pomeriggi di festa in via Mazzini non li dimenticherò mai, quei racconti che oggi sono stati raccolti e stampati in tre libri - il primo si intitola "Internato N. ", a cui segue "La memoria presente", per finire con questo "Il Ritorno 1945" - non usciranno mai dal cassetto dei miei ricordi se non per raccontarli, a mia volta ora che sono nonno, ai miei nipotini, se mai li vorranno ascoltare un giorno e spero così di instillare anche in loro il rifiuto anzi il ripudio per ogni forma di guerra e di violenza. Grazie Papà Tuo figlio Giancarlo, 20
aprile 2008
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